24 novembre 2012

Eric D. Weitz - Weimar


La Germania di Weimar

Speranza e tragedia

Eric D. Weitz
Traduzione italiana di Piero Arlorio
Einaudi, 2008
ISBN 978-88-06-19421-5
Original title: Weimar Germany. Promise and Tragedy, 2007, Princeton University Press


Eric D. Weitz is Distinguished McKnight University Professor at University of Minnesota, where he teaches Contemporary History. Among his books we sign Creating German Communism, 1890-1990: From Popular Protests to Socialist State (1997) and A Century of Genocide: Utopias of Race and Nation (2003)

Novemberrevolution und Weimarer Republik

From Introduction/
Introduzione – dalla versione italiana:

p. 4: «La Repubblica di Weimar evoca i timori sia della possibili conseguenze del mancato consenso sociale sulla direzione da prendere, sia della trasformazione di differenze magari limitate in battaglie politiche vitali; con la conseguente diffusione dell’assassinio e della battaglia di strada, e le minoranze che diventano comodi capri espiatori delle forze antidemocratiche. Un segno ammonitore, si diceva, perché tutti sappiamo come andò a finire, con l’ascesa al potere del nazionalsocialismo il 30 gennaio 1933.
Nonostante tali conflitti e disastri, Weimar fu un periodo di grande fioritura politica e culturale. La fine del vecchio ordinamento imperiale travolto da guerra e rivoluzione liberò il campo all’immaginazione sociale e politica. Per quasi un quindicennio, i tedeschi crearono e mantennero in vita un ordinamento politico ampiamente liberale con consistenti programmi di welfare. La vita di moti cittadini migliorò, con la riduzione, tra l’altro, dell’orario di lavoro a otto ore quotidiane, almeno nei primi anni della repubblica; mentre il sussidio di disoccupazione sembrò annunciare una nuova era nella quale i lavoratori sarebbero stati protetti dalle oscillazioni del ciclo economico. Nuovi complessi residenziali costruiti nell’ambito di programmi di edilizia pubblica offrirono agli operai più qualificati e ai colletti bianchi la possibilità di traslocare dai vecchi alloggi in appartamenti moderni dotati di servizi igienici interni, di acqua corrente, gas, elettricità. Le donne ottennero il diritto di voto; sorse, finalmente, una stampa vivace e libera. Dal nudismo al comunismo, si elaborarono i progetti più disparati per la realizzazione di una società futura fiorente e armoniosa. Sessuologi e attivisti politici si fecero sostenitori del diritto di tutti a una vita sessuale ricca e gratificante.
p. 5 Cinema e mondo dello spettacolo diffusero il sogno di una vita più agiata grazie alla moltiplicazione dei beni di consumo, sebbene il mattino dopo bisognasse pur sempre essere al lavoro alle sette in punto, in fabbrica, in ufficio, in negozio. Gli ideali utopistici sorsero sulla scorta della guerra e della rivoluzione. C’era la certezza di poter cambiare radicalmente il mondo: secondo alcuni con l’architettura, l’abitazione in comune, la fotografia; secondo altri con le manifestazioni di massa. Certezze e convinzioni che stimolarono la produzione artistica e ispirarono ampie riflessioni filosofiche.
Un percorso, e un impegno, non certo esclusivi dei tedeschi. Sull’onda e nel turbinio della prima guerra mondiale, le donne ottennero il diritto di voto in Gran Bretagna; artisti giunsero in gran numero a Parigi, architetti olandesi crearono edifici dalle forme nuove; a Vienna, a Budapest, a Pietrogrado, le masse e i partiti rovesciarono regimi imperiali antiquati e accarezzarono speranze di un futuro politico più luminoso. I tedeschi guardarono a questi movimenti e ne trassero insegnamento, nel bene e nel male. Nell’esperienza della Germania di questo periodo c’era tuttavia qualcosa di particolarmente intenso e ingombrante: a differenza dei suoi vicini occidentali, la Germania aveva perso la guerra. Un fatto dalle profonde conseguenze economiche, politiche, psicologiche. In pratica, non c’era argomento o dibattito su cui non si proiettasse l’ombra della responsabilità della guerra e dei costi delle riparazioni. La sconfitta impediva qualsiasi risarcimento delle sofferenze patite da donne e uomini tedeschi per quattro terribili anni. Nessun guadagno finanziario; neppure l’ombra dell’euforia che normalmente si accompagna alla vittoria in una lotta pluriennale. A differenza dei russi, loro vicini orientali, i tedeschi non sperimentarono una rivoluzione radicale che privasse completamente di potere e di prestigio le élite tradizionali. La Germania rimase per così dire a metà strada; con la sua rivoluzione che senz’altro democratizzò il paese ma non intaccò a fondo il vecchio ordinamento sociale. Risultato: mancanza di consenso e dibattito permanente. Le questioni di fondo riguardanti la convivenza dei tedeschi tra loro e con i loro vicini rimasero oggetto di insanabile discordia.
Il potere distruttivo della guerra totale e quello creativo della rivoluzione – esperienze condivise da molti europei che assunsero, però, in Germania, una colorazione assai particolare – alimentarono l’opera e il pensiero dei protagonisti di Weimar».


[…]


p. 7: «Nello stesso tempo ho prestato particolare attenzione alle rigide limitazioni della società weimariana: imposte dagli Alleati, da un’economia internazionale stagnante, dal peso delle tradizioni autoritarie della Germania, dall’emergere di una nuova destra estremista particolarmente pericolosa e dedita alla violenza. Infine, ovviamente, ho preso in considerazione ciò che non funzionò, l’esito finale disastroso, e ho cercato di dimostrare che quello di Weimar non fu un semplice crollo. Weimar fu infatti spinta nel precipizio dall’opera combinata di una destra tradizionale, ostile alla repubblica dal giorno stesso della sua creazione, e di una destra più nuova e più estrema. La destra tradizionale – composta di uomini d’affari, di nobili, di funzionari statali, di ufficiali dell’esercito – era potente e ben radicata. Anche i comunisti cercarono di seppellire la repubblica, ma fu sempre la destra a costituire il pericolo più grave.
I dodici anni del Terzo Reich non riuscirono, tuttavia, a connotare univocamente i precedenti quattordici anni della Repubblica di Weimar. Nessun evento storico è predeterminato; tanto meno lo fu la vittoria del nazionalsocialismo. p. 8 Conflitti e limiti del periodo weimariano contribuirono indubbiamente ad alimentare il movimento nazionalsocialista, ma è un travisamento presentare Weimar come mero preludio del Terzo Reich. La Germania di Weimar fu un momento ricco e pieno di fermenti, e molte opere artistiche, speculazioni filosofiche e ipotesi politiche che si svilupparono nel suo grembo generarono visioni luminose di un mondo migliore. Visioni che continuano ad avere un significato per noi, oggi».


Inflation - 1923
From chapter 4

Economia turbolenta e società in ansia

pp. 149-152:

«“Die Wirtschaft ist das Schicksal” (l’economia è il destino), scrisse Walter Rathenau, industriale, idealista, ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar. Sostanzialmente, aveva ragione. Nelle condizioni più favorevoli, la creazione di una democrazia compiuta in Germania sarebbe stata impresa assai ardua, tante e potenti erano le forze antidemocratiche nella società e nell’agone politico. E tuttavia, «le condizioni più favorevoli» non si verificarono mai per la Repubblica di Weimar. Nata sulla scia della prima guerra mondiale tra i fuochi incrociati della rivoluzione e della guerra civile, per conquistarsi l’appoggio e il sostegno della maggioranza dei cittadini tedeschi avrebbe avuto bisogno di un’economia solida e in espansione. Ciò che, appunto, non ebbe. Gli anni della crescita economica furono effimeri, e costruiti su una grave debolezza strutturale i loro risultati. In compenso, numerosi furono gli anni di crisi con conseguenze assai pesanti. Nel periodo weimariano, i tedeschi vissero ben tre “capovolgimenti del mondo”: riassetto postbellico, iperinflazione, Grande Depressione economica. Non stupisce che, alla fine, non si sia creata una maggioranza favorevole alla repubblica. I tedeschi erano in sofferenza sul piano economico e si azzuffavano sulle questioni economiche grandi e piccole. Tassazione, riparazione dei danni di guerra, rappresentanza sindacale, innovazioni tecnologiche, principio stesso della proprietà privata: altrettante questioni oggetto di aspro dibattito. E un punto percentuale in più o in meno della tassazione, o il numero (uno? due? cinque?) dei rappresentanti sindacali presenti nel consiglio di amministrazione di un’impresa, non erano questione di semplice scelta di una linea politica! Per diritto o per traverso, ciascuna questione economica diventò scelta di fondo sulla convivenza dei tedeschi tra loro o con gli altri paesi nel periodo postbellico. Qualsiasi disputa di politica rischiava di mettere in crisi l’esistenza stessa de “il sistema”, come la destra sprezzantemente chiamava la Repubblica di Weimar. Si ebbero, senza alcun dubbio, momenti di accordo, di convergenza, in particolare tra coloro a vario titolo coinvolti nel processo produttivo: industriali, sindacati, Stato. Nei primi anni della repubblica, collaborarono per arginare l’inflazione, fino a quando prese a correre incontrollata e incontrollabile. Nella fase mediana, tutti costoro appoggiarono la “razionalizzazione”. I tedeschi colpiti duramente da inflazione e razionalizzazione, per non parlare della depressione economica, erano però legioni, e il loro scontento trovò accoglienza a destra e a sinistra. Politica ed economia procedevano a braccetto: i problemi economici di Weimar erano enormi e per molti aspetti inusitati; le possibili soluzioni politiche, oggetto di aspro dibattito e scontro.
In mezzo a un dibattito sociale e politico estremizzato, nella turbolenza dei boom e dei crolli dell’economia, i tedeschi si trovarono a vivere in un periodo contrassegnato da un misto di “relativa stagnazione economica” e di “modernizzazione accelerata”. Due indicatori in apparente netta contraddizione, ma proprio la loro compresenza conferma, una volta ancora, il carattere complesso e conflittuale degli anni di Weimar. Confrontati con quelli dei periodi anteriori al 1914 e posteriori al 1945, i tassi di crescita di Weimar appaiono più contenuti e limitate le ripercussioni macroeconomiche dell’innovazione tecnologica. Negli anni Venti non ci furono innovazioni nei settori trainanti con ampio effetto di stimolo sull’economia. Nulla di paragonabile all’impatto della produzione tessile nella fase iniziale dell’industrializzazione, alle innovazioni nell’industria dell’acciaio negli anni Ottanta del XIX secolo o nell’industria chimica nel periodo compreso, grosso modo, tra il 1890 e il 1914; per tacere dello sviluppo dei computer negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo. Inoltre, gli indici piuttosto deludenti furono il risultato dell’uscita della Germania, in concomitanza con altre economie avanzate, dalle tendenze globalizzatrici del XIX secolo. La prima guerra mondiale frenò potentemente il movimento internazionale di merci e capitali. Gli enormi costi della guerra e gli altrettanto enormi debiti accumulati per sostenerli lasciarono solamente gli Stati Uniti nella posizione vantaggiosa di creditore. Le diatribe postbelliche riguardanti le relazioni tra debito interalleato e riparazioni ridussero ulteriormente il flusso di capitali e si acquietarono solamente tra il 1924 e il 1929. Dopo di che, la crisi economica mondiale ebbe un effetto distruttivo sul capitale, e quello che si rese nuovamente disponibile operò pressoché esclusivamente sul mercato nazionale. La Germania dovette sempre importare quantità notevoli di derrate alimentari e di materie prime. Per pagare queste importazioni e finanziare lo sviluppo economico, necessitava di valuta e di capitali esteri; come di mercati esteri sui quali collocare i propri prodotti. Non pochi tedeschi invocarono disinvoltamente una maggior chiusura nell’ambito ristretto dell’economia nazionale, senza rendersi conto che, sul lungo periodo, una ricetta del genere si sarebbe rivelata contraria agli interessi della Germania.
L’economia tedesca si modernizzò nel contesto di una stagnazione, almeno in termini relativi. La percentuale di popolazione impegnata nell’industria continuò a crescere raggiungendo un culmine statistico intorno alla metà degli anni Venti. Le donne, soprattutto giovani, abbandonarono le fattorie alla ricerca della maggiore indipendenza offerta dalla città e dal lavoro in fabbrica. Si sprecavano i commenti degli osservatori sulla crescita esponenziale della “nuova classe media”, sulle legioni di impiegati negli uffici statali e nell’industria; nelle ampie superfici espositive dei grandi magazzini; nei laboratori degli ospedali e delle fabbriche; negli istituti di ricerca. I figli del boom demografico degli anni intorno al 1900 si contendevano posti di lavoro limitati di numero, quando non inesistenti, nella burocrazia statale. Ingegneri e imprenditori parlavano e scrivevano di razionalizzazione e di tecniche produttive semplificate in grado di accrescere la produzione e ridurre il numero dei lavoratori. E arrivò l’era del consumo di massa. Grandi magazzini abilmente progettati esibivano con arte enormi quantità di merci, mentre i pubblicitari lusingavano i tedeschi con un mondo di sogno fatto di prosperità e ultima moda.
L’economia di Weimar era, dunque, un fascio di conflitti e di contraddizioni. Al pari di quella politica, la storia economica di Weimar si lascia facilmente dividere, per quanto in maniera sommaria, in tre fasi. La prima, 1918-23, fu l’era dell’inflazione; la seconda, 1924-29, della razionalizzazione; la terza, 1929-33, della depressione economica. L’inflazione aveva avuto inizio già prima, durante la guerra, allorché il governo ricorse al prestito per finanziare le enormi spese belliche. I tedeschi acquistarono obbligazioni di Stato con la promessa di un’elevata redditività dell’investimento, e l’ovvia presunzione della vittoria militare. Furono indotti a credere che qualsiasi difficoltà sarebbe stata temporanea e ben presto seguita da un’era di prosperità senza precedenti con l’imposizione sull’intero continente della potenza politica ed economica della Germania. Non andò così e, alla fine della guerra, si trovarono a dover fare i conti con una moneta svalutata, con industrie pressoché interamente dipendenti dalle commesse militari, con grande penuria di beni di prima necessità e di materie prime indispensabili alla produzione. Milioni di reduci dal fronte dovettero essere reintegrati in qualche modo nella vita civile. I britannici mantennero il blocco navale fino all’estate del 1919, peggiorando la già difficile situazione della Germania».

Collapse of the Weimar Republic
The Hole in the Republic's Heart

One of the best discussions of German society during the flowering of the Republic comes from Alex de Jonge.  He relies heavily upon individual experiences

Berlin in the 1920s was a very special place, for its caba­rets, its theaters, for its musical, literary and artistic life. Because of the pale and colorless quality of official Wei­ mar politics, and because the traditional upper and middle classes had lost so much ground all moral authority, and indeed all talent flowed through exclusively cultural chan­nels. It was as if all energy was absorbed by culture and pleasure seeking, bike races and bordellos. Moreover, the contrast between Berlin West as an isolated and localized pleasure center and the profound poverty and human misery which surrounded it, from the revolution to the slump gave the city its particular edge and atmosphere. It had a bite to it, a sense of irony and frenzy, which was fostered by the carefree and cynical character of the Ber­liners themselves; this created a mood which made people behave "as if there were no tomorrow."

In the dying years of the republic, from 1928 onward, as conventional politics and politicians grew daily more impotent and the stock market erected a statue to "The Unknown Solvent." the edge grew keener still. There was an increasing sense of imminent collapse and the suspicion that there might be something nasty in the wood­ shed. The spirit of "mature Weimar" is a strange combina­tion of moods: extraordinary enlightenment and liberalism; extraordinary weakness; a great capacity for creative technology; a sinister willingness to search for and worship strange gods; and occasional flashes of perverted violence and vileness that are almost beyond description.

A German study of the twenties has a chapter entitled "Technik Technik über alles." It was indeed a period which saw very considerable achievements in both technology and pure science. Einstein worked and taught in Berlin, and the next generation of scientists included names such as Werner von Braun. Between 1919 and 1929 German scientists won seven Nobel prizes.

The German motor industry put names such as Mercedes, Opel, BMW firmly on the map. In 1928 Fritz von Opel's rocket-powered car clocked 195 km (117 mph) on the Avus, Berlin's motor-racing track. Germany was indeed motor mad:

The most dangerous side of the motor "craze" continues to be the subject of public discussion. The Deutsche Tageszeitung refers in indignant terms to an advertisement for a motorcycle which, it is claimed, with a little practice it can be ridden even up bad streets and round curves with the hands off the handlebars.

[…]

Führers apart, Germany was full of confidence men, gurus. charlatans, astrologers, alchemists and miracle workers of various kinds. Some were ordinary frauds: one of the best known cases is that of Max Klante, who persuaded the Berlin public that he could pick winners with almost monotonous regularity, since he had access to stable information. That some should have believed him is inevitable, but that the people of Berlin should have believed him on such a scale that he could buy a large villa in the suburbs and keep horses in training himself seems scarcely credible. His system was simple. He offered anyone investing with him a return of 600 percent a year, to be secured by his successful betting. He used modern publicity and public-relations techniques to advertise his service—which got off to a good start. When the early clients found they were indeed getting 600 percent, they told others and the Klante bandwagon started to roll. So quickly did the business grow that long after he was no longer bringing off betting coups at 6-1 a time, he was able to pay his old customers out of his new subscriptions. Inevitably the whole system collapsed and most people lost a lot of money. However, the fact remains that numerous people were prepared to believe (a) that someone would do them the favor of making their money multiply six times in a year, and (b) that it is possible to predict the outcome of a horse race.

Max Klante was a people's con man. The case of Fritz Haber is very different, and perhaps even stranger. Haber was a distinguished scientist. In his search for an artificial fertilizer, he invented the explosive which permitted Germany to continue fighting the war without the help of imported saltpeter. He also invented poison gas by another mistake. In the 1920s he devoted much time and effort to the attempt to extract gold from seawater, and enjoyed much official support for the project. When, in the course of his research, he discovered that he had misplaced a decimal point in his early calculations, he had a nervous breakdown.

Haber could not really be described as an alchemist, but Fritz Tausend actually made the serious claim that he could manufacture gold, and for some time he was taken perfectly seriously in official circles. Again it was a case of people believing what they want to believe. The government backed him in the hope that his techniques might solve the reparations problem. Ludendorff, too, gave him financial support. Eventually the "demonstra­tions" he laid on were seen to be deceptions and he went to prison in 1929, but not before he had been taken seriously by persons who ought to have known better.

More extreme claims still were made by the Austrian autodidact peasant Schappeller, who claimed to have invented a new source of energy. "Space Energy," which would transform life on earth, make its controller the lord of creation, provide infinitely cheap power and create diamonds out of stone, gold out of mud. He too won support in high places, sufficient to enable him to pur­chase the castle which dominated the village of his birth and carry out expensive restora­tions. Part of the support came from the ex-kaiser himself, who provided Schap­peller with large sums. After his protegé  was exposed as a charlatan, the ex-kaiser outlined his motives for sup­porting him. It was not, he said, that he had any ambition to rule the world: "He wished to liberate himself from the heavy burden of guilt which the collapse of Germany had inflicted upon him through his participation in an under­ taking which would render his old empire apt for social renewal.''

Occultism and clairvoyance also enjoyed a tremendous vogue at the time, sometimes with ludicrous results:

A case due to come before a Berlin court tomorrow arises from a spiritualistic seance in 1920, at which the medium announced that Ludwig Uhland (who died in 1862) would give a demonstration. A pencil was then removed from a closed satchel, and a few moments later the occupants of the dimly lit room found themselves, it is stated, in the possession of a poem entitled "Wiederkehr, " written on stained yellow paper, in handwriting resembling that of the poet and signed L. Uhland—1920. The poem is said to have been accepted as authentic by two hundred experts.

Those present at the seance bound themselves to silence, but one of them, an author, has now begun proceedings against the medium for the restitution of the manuscript, which, he states, was originally delivered into his hands.

The judge reserved his decision, and refused to allow the spiritualists to give the evidence of dead people through mediums.

Erich Jan Hanussen was one of the most popular occult­ists and clairvoyants of the early 1930s. He was a char­latan with a good mind-reading act and considerable hypnotic powers. A member of fashionable Berlin, he used to give public demonstrations of hypnotism in nightclubs; he was also protegé  of Count Helldorf, a senior Nazi who later became Berlin's chief of police. After the Nazis came to power, he became their magician and astrologer until it emerged that, far from being the Danish baron he purported to be, he was a German Jew. A few days after the discovery, he was found shot dead in a forest outside Berlin. However Hanussen lives—or at least his stage name does!  Today in Berlin there are posters advertising the fabulous occult and clairvoyant powers of one Erich Jan Hanussen.

Stranger than run-of-the-mill charlatanism was the case of a certain Weissenberg, a Berlin prophet regarded by many as a saint and a miracle worker. Weissenberg claimed to raise the dead—by means of cheese. He treated a small child with curds, and when it died maintained that it was not really dead: a liberal application of cheese to head and foot should restore it. The cheese was applied and time passed. After a week the body was forcibly removed, although the parents, trusting Weissenberg's judgment, maintained that the child was still alive and that the police had killed it by interrupting the treatment. Weissenberg went on to conduct religious meetings, attempting to raise the dead. His public was middle-aged, working class and gullible, and his meetings produced scenes of quite extra­ ordinary mass hysteria. He would begin them by asking for contributions for the community he had founded. New Jerusalem. Then Sister Grete Müller, one of his assistants, would enter into a trance. She spoke with the voice of "Old Bismarck," who would urge all present to subscribe to New Jerusalem. The crowd would begin to get hyster­ical, then Weissenberg would walk among them laying on hands and calming them. They would then sup­pose themselves to be historical persons from Wilhelm II's circle, and would all shout and scream to­gether. Despite the fact that Weissenberg went to prison, his sect grew and grew and, of course, considered him a martyr.

It was a time when Germany was literally full of persons describing themselves as spiritual leaders. Some of them were noble, holy and rather remarkable men. R. Olday describes such a guru, "The Old Man," who preached a gospel of peace in the Hamburg slums and commanded a considerable following. Others were more exotic. Indeed the most exotic false prophet of them all was the utterly remarkable Muck Lamberty, who spread something akin to a medieval religious hysteria wherever he went. Lead­ing a "New Troupe" of dancers, singers, players and followers who had come to him from the Youth Move­ment he moved from town to town, preaching pantheism, ecstasy and the fire of the spirit. He and his band would literally dance into a town, and when they arrived every­ one would dance with them — policemen, mayor and fire brigade. Eyewitnesses confirm that when, for example. they entered Erfurt they got the whole town dancing and singing with them in a joyful condition of mass hysteria.
see also:
The German Unemployed:
Experiences and Consequences of Mass Unemployment from the Weimar Republic to the Third Reich


Richard John Evans, Dick Geary

Routledge, 1987 - pages 314

Summary:
How far was unemployment responsible for the triumph of the Third Reich? This collection of essays by British and German historians examines the collapse of democracy in Weimar Germany from the viewpoint of the social historian.

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