14 maggio 2012

Espressionismo - Hermann Bahr


Titolo: Espressionismo
Titolo originale: Expressionismus
Autore: Hermann Bahr
Curatore: Fabrizio Cambi
Editore: Silvy edizioni
Data di pubblicazione: aprile 2012





«Riegl dal 1895 fu collega all’Università di Vienna di Wickhoff […] al tempo in cui viveva ancora Hugo Wolf, mentre Burckhardt rinnovava il Burgtheater, Mahler l’Opera, Hofmannsthal e Schnitzler erano giovani, Klimt arrivava alla maturità, cominciava la Secessione, […] Arnold Schönberg stava emergendo, Reinhardt vagava sconosciuto per le vie silenziose sognando il futuro, Kainz rimpatriava, Weininger si infiammava, Ernst Mach teneva le sue lezioni di scienza popolare, Joseph Popper scriveva le Phantasien eines Realisten e Chamberlain, fuggito dalle distruzioni del mondo per ritirarsi nella nostra mite città, componeva le Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts…Allora la vita a Vienna deve essere stata veramente interessante.» * [p. 63 del testo]


L’aria che si respira nel saggio di Hermann Bahr, filosofo, giurista, economista e filologo, ingegno eclettico, infaticabile animatore culturale, reca intatto l’aroma dei suoi molteplici interessi divisi tra il trentennio di fine Ottocento e il primo trentennio del Novecento. La quasi simmetria temporale che si riscontra nella sua vita, finisce per coincidere con le due rivoluzioni artistiche che ad essa s’accompagnano, l’impressionismo e l’espressionismo, cui Bahr volgerà il suo spiccato senso critico.
Nel modo più che singolare col quale ripercorre l’entusiasmante quadro culturale mitteleuropeo a cavallo dei due secoli, i cui cieli carichi di fervore creativo si trovano fotografati con piglio originale nel testo che abbiamo riportato all’inizio, si coglie non a caso tutta l’acutezza di uno sguardo che gli ha permesso di essere uno straordinario attore e cronista della sua epoca.
E proprio il vedere, analizzato nella sua doppia natura di facoltà fisica e strumento in grado di cogliere la qualità ‘spirituale’, il sovrasensibile che intride la realtà, diviene il fulcro di questa sciolta trattazione, nata quasi per caso, dal confronto con il colto e curioso auditorio di un’associazione di Danzica, dove Bahr era solito tenere conferenze, che cominciava a interrogarsi sul significato dell’espressionismo. Termine d’importazione, espressionisti vennero infatti definiti per primi i pittori francesi che orbitavano intorno a Picasso e Matisse, entra nell’ "uso tedesco" nel 1914, quando il critico figurativo Adolf Behne, esponente del gruppo dello Sturm, afferma che l’espressionismo non è una moda ma rappresenta «il ridestarsi di tendenze che hanno sempre dominato l’arte nelle sue epoche più felici.» In consonanza di vedute, Herwarth Walden ha colto nell’impressionismo e nell’espressionismo non due fasi storiche determinate nel farsi dell’arte moderna ma due momenti ‘eterni’ dello spirito umano, ossia i due poli entro cui nei secoli si è sviluppata la ricerca espressiva. E in questo percorso si attribuisce una qualità organica alla capacità di afferrare le immagini del mondo, che tuttavia non sorregge più l’atto della riproduzione naturalistica (Abbild) ma sostanzia e rende riproducibile il contenuto dell’immagine interiore (Bild); su questi argomenti si veda anche L’espressionismo tedesco di Paolo Chiarini, passim, recentemente pubblicato da Silvy edizioni.
Di una vista interiore cui si attribuisce una caratteristica organica associata a una forza "tattile", Hermann Bahr disquisisce a lungo all’interno del suo saggio, al punto da farne un fulcro affascinante e fecondo attorno al quale ruota l’intera trattazione. Prendendo spunto dalle indagini di Sir Francis Galton, che alla data della propria morte, nel 1911, aveva messo insieme una quantità inverosimile di fonti sull’argomento, Bahr ritrae in dettaglio la vista spirituale, dimostrando che «è qualcosa di più di un mero ricordare o di una semplice riproduzione del vedere sensibile, e che è una produzione autentica e che il vedere spirituale ha una forza creatrice, la forza di creare un mondo secondo leggi diverse da quelle della vista sensibile.»
Arrivati a questo punto, sebbene la dissertazione rischi di ingolfarsi in una troppo rigida semplificazione dicotomica, l’idea di una riproduttività di quel che ci circonda concepita nell’alternarsi tra occhio dello spirito e occhio del corpo segna il solco nel quale Bahr annuncia il germe espressionista. Nella costante dialettica delle generazioni e nella consapevolezza che il “totale” della verità resta precluso alle acquisizioni dell’uomo, lo studioso registra il riaffacciarsi dello spirito nella nuova arte, destinata a spodestare l’impressionismo. «Questa totalità di interno ed esterno manca sia all’impressionismo sia all’espressionismo; neanche l’espressionismo raggiunge “il legame vivente e costante degli occhi dello spirito con gli occhi del corpo.” Ma quando mai è stato raggiunto? Con singoli maestri in singole opere che sono rimaste sempre incomprese. Mai in un’epoca nel suo complesso. Ce n’è stata una che l’ha sfiorato: quella dello stile barocco.» Una contestualizzazione simile la ritroviamo in una lectio magistralis offerta qualche tempo fa da Sebastiano Vassalli a Mantova sulla nascita del concetto di paesaggio nella cultura occidentale. «Ho parlato prima, con un azzardo forse eccessivo, di classicismo e di romanticismo, per indicare i due modi che l’arte e la letteratura hanno avuto nel corso dei secoli, di porsi di fronte alla natura e quindi al paesaggio, considerandoli estranei alle vicende umane o partecipi delle stesse, a cui sarebbero legati (in questo secondo caso) da misteriose affinità. Tra questi due termini estremi, dentro o fuori, sembrerebbe non esistere una terza possibilità. Invece l’arte e la letteratura l’hanno inventata: è il barocco.» Del resto il paesaggio, nodo per eccellenza di un esercizio mai smesso nella storia dei saperi sulla definizione e l’ordinamento dello spazio di natura, è stato non a caso da sempre un teatro di risonanze liminali tra l’immagine esteriore e concreta del mondo e la sua ricezione negli orizzonti dell’interiorità umana. 
Eppure lo sguardo di Bahr, come sottolinea Fabrizio Cambi nella sua chiara ed efficace postfazione, continua con nostalgica intensità a fissare le care icone impressioniste e soprattutto il profilo di Goethe, il cui peso ermeneutico riscuote qui un deciso riconoscimento e una devozione altrettanto sincera. Né l’affermazione dell’attaccamento ai due ‘culti’ contrasta o indebolisce il tributo reso alle idee della nuova generazione.     
Questo saggio sull’espressionismo, di cui Silvy edizioni offre una riproduzione fedele, non trascurando le illustrazioni che corredarono il testo nella prima stampa eseguita da Delphin Verlag (1916), è dunque un’esperienza di lettura che vale la pena consigliare, non solo perché ci pone di fronte a degli interrogativi sul senso e la funzione dell’arte che non guasta continuare a porci nel nostro tempo, ma anche per la straordinaria vitalità con cui la lezione espressionista si è traghettata nel corso del Novecento fino al primo decennio del nuovo millennio, un evento che, per la sua portata epocale, è necessario approfondire il più possibile, soprattutto considerando l'opinione di chi ha sperimentato la chimica di quella rivoluzione artistica, come artefice o semplicemente come osservatore, e valutando, da parte nostra, gli elementi che ne costituiscono l’affollato e composito retroterra.   

                                       Théodore Géricault - Teste/Heads

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