27 giugno 2017

Dall'antica alla nuova Via della Seta



Ingresso del Mao di Torino con Buddha del Gandhara sullo sfondo



Si avvia alla chiusura la grande mostra sulla Via della Seta allestita al Mao di Torino (Museo d’arte orientale), evento patrocinato dalla presidenza della repubblica col quale si è inteso rilanciare e prolungare nel tempo la rassegna celebrativa dell’incontro fra oriente e occidente già ospitata al Palazzo del Quirinale. Tali manifestazioni si collocano negli attuali sviluppi del panorama geopolitico, che vede una Cina sempre più interessata a coltivare le aperture con l’Europa, non limitatamente al piano commerciale ma ancor più indirizzandosi alle relazioni culturali, creando rinnovati pilastri identitari d’incontro tra Asia e vecchio continente su cui consolidare il passato, al contempo lavorando a nuove vie di scambio e collaborazione.  
La ricchezza dei materiali esposti – ceramica, toreutica, tessuti, mappe – e i dettagliati approfondimenti che aiutano il visitatore a collocarli lungo le antiche strade carovaniere hanno creato una della più importanti iniziative mai dedicate dal nostro paese a questo sterminato argomento. Del resto, l’Italia ha inteso raccogliere con solerzia e competenza l’invito rivolto dal presidente cinese Xi Jinping al nostro paese ad essere attori di primo piano nella costruzione della “nuova” Via della Seta. Il leader cinese ha illustrato il suo disegno in due recenti occasioni pubbliche, dapprima nel settembre 2013 presso l’università Nazarbayev di Astana (Kazakistan) in cui ha parlato di “cintura economica della Via della Seta”, intendendo porre l’accento sulla valorizzazione della direttrice di terra di questo millenario percorso, essendo il Kazakistan da sempre un crocevia di viaggiatori dai due continenti. Il secondo intervento è caduto a un mese di distanza nel parlamento indonesiano a Giacarta (antica Batavia), base della Compagnia delle Indie Orientali. Qui i vascelli asiatici e occidentali riempivano la stiva di spezie tanto preziose quanto e più dell’oro. La linea della presidenza cinese ha così fissato le due cinghie di trasmissione, terra-mare, lungo cui Pechino ha in animo di rifondare floride relazioni con i paesi attraversati.
Evidentemente siamo di fronte a uno dei più grandi progetti lanciati nel nuovo millennio, destinato, una volta a regime, a cambiare profondamente gli assetti economici e politici che abbiamo finora conosciuto. È chiaramente una sfida all’egemonia statunitense. Da anni la Cina coltiva il sogno, sempre più a portata di mano, di soffiare il primato al gigante d’oltreoceano. Ora che il TTIP promosso dagli Usa si è impaludato nelle più varie avversioni europee, da quelle politiche-sovraniste ad altre di natura ecologista – e in effetti se uno si scorre le condizioni del trattato c’è parecchio da cui guardarsi – la volata dei cinesi appare come una manovra di ampio respiro, che non solo è in grado di galvanizzare popoli e culture alle più varie latitudini, perché evoca in ogni paese coinvolto un’avventura già vissuta, facente parte del proprio retaggio storico; ma ancor più in quanto siamo di fronte a una macchina potente dell’immaginazione: l’idea di potenziare le infrastrutture ferroviarie per unire spazi immensi, città e popoli lontanissimi, solletica la fantasia umana con un magnetismo cui è difficile sottrarsi. L’espandersi del traffico aereo ha già reso il mondo molto più piccolo di quel che era, ma continua a restituirci una cartolina distante, affrettata e sfocata per così dire. La ferrovia invece ci lega di più ai luoghi che attraversiamo – si pensi al fascino durevole dell’Orient Express – e disporre di linee ad alta velocità che dal Mar Giallo arrivino al cuore di Madrid è appunto una meravigliosa frontiera, forse in grado di dare alla globalizzazione un senso alquanto diverso.
Naturalmente a ciò si accompagnano opere strategiche per l’approvvigionamento energetico – gasdotti e oleodotti – l’altra faccia dell’inarrestabile ingresso del gigante asiatico nel Mediterraneo. Tra i vari organismi finanziari fondati ad hoc dall’amministrazione cinese per la gestione dei grandi volumi di investimento che la nuova cintura economica comporta c’è la Aiib (Asian Infrastructure Investment Bank), che attualmente coinvolge cinquantasei paesi, Italia inclusa. Per l’intero progetto il governo di Pechino ha pensato a uno stanziamento complessivo di quattromila miliardi;  si consideri che attualizzandone i costi oggi il Piano Marshall varrebbe centotrenta miliardi. 
Di fronte a questa inclinazione titanica e soprattutto a uno sguardo così ampio, rivolto a un orizzonte temporale tanto vasto, le chiusure a marchio Trump suonano come tentennamenti inadeguati, per non dire stonati.  
La mostra torinese ha voluto ripercorrere le tappe salienti di un processo cominciato più o meno ai tempi della cosiddetta pax sinica coincidente con il primo impero cinese (200 a.C – 200 d.C) passando per i trascorsi avventurosi di Marco Polo, dei cartografi medievali divisi tra nozionismo tecnico e imago mundi, rendendo conto della sorprendente attività manifatturiera che le “vie” della seta erano capaci di offrire, provvedendo alle più varie necessità commerciali. Un vivace colpo d’occhio sulla storia per risvegliare volontà, audacia, desiderio di unione tra i popoli nei viaggiatori dell’oggi.       


(Di Claudia Ciardi)  
   


Dall’antica alla nuova Via della Seta, Mao di Torino, San Domenico
31 marzo - 2 luglio 2017
Catalogo a cura del Museo d’arte orientale
Conferenze e interventi a cura di: Politecnico di Torino, Università di Pechino, Salone del libro Off, Il Mulino


                

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