10 aprile 2014

Naufragio di guerra #1




L’appoggio alla Grande Guerra assume l’aspetto di sterminate riunioni di massa nelle piazze delle più importanti città del continente (Vienna, Parigi, Londra, Berlino). Le metropoli fanno da ribalta e potente cassa di risonanza dello stato d’animo che dominava le classi popolari nel ’14, alla notizia dello scoppio del conflitto. A tali entusiastiche accolte infatti prendono parte principalmente studenti e operai. Moltissimi sono i giovani volontari, tra i quali figurano non pochi intellettuali e artisti; dell’entusiasmo e del grande inganno architettato dallo Stato a spese della generazione più giovane riferisce ad esempio Louis-Ferdinand Céline, all’inizio del suo capolavoro Viaggio al termine della notte. Altro nome rilevante è quello di Joseph Roth che, rifiutato più volte tra gli effettivi perché cagionevole di salute, si offre volontario per il fronte orientale. Anni dopo, sfogandosi con il collega italiano Enrico Rocca, parlerà con estrema amarezza di quella frenesia di morte che allora si impadronì dei popoli europei, un sentimento che sarebbe costato un prezzo altissimo, segnando per sempre chi fece ritorno a casa: «Mi riconosco nella comunità mondiale di tutti i partecipanti alla guerra, nella generazione dei decimati, dei reduci impotenti e dei morti» (6 maggio 1930). Disagio che peraltro aveva già espresso in pagine memorabili, introducendo il suo resoconto sulla Provenza, viaggio dai risvolti quasi liberatori, alla scoperta di un cosmo risparmiato dagli eventi, che tuttavia finì per acuire il suo senso di solitudine e la sua intima lacerazione. Per non dire di quel magnifico filone di narrativa dei reduci (Hotel Savoy, La ribellione, Fuga senza fine) che mette al centro proprio gli sconfitti di ogni guerra: i soldati che riportano in patria la sconvolgente esperienza del fronte – per saperne di più si veda qui la scheda della nostra pubblicazione.
Le attese trionfalistiche dei molti che in maniera tanto aperta, ma anche in preda a una cieca esaltazione, le avevano manifestate in quel surreale agosto del ’14, si impantanarono letteralmente nel corso degli anni tra fango, sterco e sangue, nell’indecente logoramento delle trincee, nelle dissennate strategie militari che falciarono milioni di vite umane per avanzamenti effimeri, se non palesemente inutili. L’offensiva della Somme in Francia (dal novembre 1916 al gennaio ’17) costò più di un milione di morti, arrivando a contendere a Stalingrado il triste primato di battaglia più sanguinosa della storia. 
Un disincanto che devastò migliaia di famiglie di dispersi (compresa quella di chi scrive). Tema immenso sul quale nei suoi diari spende parole toccanti e allo stesso tempo lucidissime la scultrice berlinese Käthe Kollwitz, il cui figlio morì a diciotto anni nelle Fiandre. Così lo storico Jay Winter commenta lo stato d’animo dell’artista: «Ciò che aggiunge al lutto della Kollwitz una dimensione particolare era il suo senso di colpa, il rimorso per la responsabilità avvertita dalla generazione precedente per il massacro dei giovani soldati. […] Scoprire, come lei avrebbe fatto nel corso della guerra, che l’idealismo del figlio era mal riposto, che il suo sacrificio era stato vano, fu terribilmente doloroso».
Al fenomeno cosiddetto delle “comunità di agosto”, cioè della festosità di piazza che abbiamo sin qui descritto, l’Italia risponde tepidamente. Riflesso di un’opinione pubblica divisa e di una classe politica più che incerta sul da farsi, è non a caso il complicato e lungo baratto della posizione italiana presso Londra che durerà tra tira e molla, anche imbarazzanti, fino al marzo del ’15. 
Le sparute folle interventiste in Italia, mondo di minoranza rispetto all’adesione europea, sono per lo più sorrette da intellettuali, artisti e piccola borghesia, su cui cercava di far presa la frangia più convintamente schierata a favore della guerra: si pensi alle infuocate arringhe dannunziane, espressione di quel nazionalismo strisciante che si consoliderà nel dopoguerra. Dall’altra parte si annoverano i contadini, che vedono nella guerra un’inutile perdita di tempo e vite umane – in sostanza un dannoso allontanamento dalle terre – i cattolici e i socialisti. Questa fetta cospicua di popolazione professa un neutralismo di peso negli equilibri rappresentativi del paese: costoro si facevano infatti portatori di un punto di vista che apriva al dialogo con l’Austria, secondo cui Trento e Trieste sarebbero state cedute dietro trattativa.
I giovani italiani desiderosi di gettarsi nell’impresa erano senz’altro influenzati dalla convinzione di replicare l’epopea risorgimentale. Pensavano che la guerra potesse riscattarli dalla mediocrità scandalosa e corrotta del giolittismo e in generale da una quotidianità sentita come vuota, nella quale era impossibile divenire protagonisti. La guerra sarebbe stata la porta d’entrata nella storia e questa grande illusione era alimentata e alimentava il pensiero di cimentarsi in un evento di breve durata, glorioso e vincente.
Per comprendere più a fondo la situazione italiana vogliamo infine accennare al clima economico. Nel ’13 il nostro paese vive una recessione che in parte migliora dal ’14 al ’15, quando le imprese italiane guadagnano terreno perché speculano sulle ordinazioni e le forniture ai paesi belligeranti. Questo diffonde un clima di ottimismo ma i buoni affari, come era del resto prevedibile, a un certo punto si bloccano. È una sorta di ricatto imposto all’Italia, chiamata irrevocabilmente a prendere posizione.

(Di Claudia Ciardi)




Per saperne di più sulle fasi dell'intervento italiano si veda il nostro precedente post:
Naufragio di guerra #0

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A Riposo

Versa il 27 aprile 1916

Chi mi accompagnerà pei campi

Il sole si semina in diamanti
di gocciole d’acqua
sull’erba flessuosa

Resto docile
all’inclinazione
dell’universo sereno

Si dilatano le montagne
in sorsi d’ombra lilla
e vogano col cielo

Su alla volta lieve
l’incanto s’è troncato

E piombo in me

E m’oscuro in un mio nido.

Fase d’oriente

Versa il 27 aprile 1916

Nel molle giro di un sorriso
ci sentiamo legare da un turbine
di germogli di desiderio

Ci vendemmia il sole

Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse

Ci rinveniamo a marcare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa

Due poesie di Giuseppe Ungaretti da L’Allegria (sezione Il Porto Sepolto)
*Versa è una frazione di Romans d'Isonzo, in provincia di Gorizia

Per approfondire:
Lultima estate dellEuropa. Il grande enigma del 1914: perché è scoppiata la Prima guerra mondiale?

David Fromkin
Garzanti Libri, 2005 - 399 pagine

Per la maggior parte degli europei, la primavera del 1914 - al culmine della Belle Époque - fu una stagione meravigliosa, spensierata e piena di speranze. Dietro le quinte, tuttavia, si stava preparando il primo massacro della storia, il primo conflitto su scala planetaria, una guerra che getta le sue ombre fino ai nostri giorni. Lo storico Fromkin ricostruisce le settimane che hanno preceduto il fatale agosto del 1914 per mettere in luce le cause che portarono alla prima guerra mondiale.


Europes Last Summer: Who Started the Great War in 1914?
David Fromkin
Knopf Doubleday Publishing Group, 2007

When war broke out in Europe in 1914, it surprised a European population enjoying the most beautiful summer in memory. For nearly a century since, historians have debated the causes of the war. Some have cited the assassination of Archduke Franz Ferdinand; others have concluded it was unavoidable.

In Europe’s Last Summer, David Fromkin provides a different answer: hostilities were commenced deliberately. In a riveting re-creation of the run-up to war, Fromkin shows how German generals, seeing war as inevitable, manipulated events to precipitate a conflict waged on their own terms. Moving deftly between diplomats, generals, and rulers across Europe, he makes the complex diplomatic negotiations accessible and immediate. Examining the actions of individuals amid larger historical forces, this is a gripping historical narrative and a dramatic reassessment of a key moment in the twentieth-century.

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Il Tempo e la Storia con la conduzione di Massimo Bernardini va in onda dal lunedì al venerdì alle ore 13.10 su Rai 3 e alle 20.30 su Rai Storia, ch. 54 del Digitale Terrestre e ch. 23 Tivù Sat. 

“Sarajevo 1924” con Lucio Villari – in onda lunedì 20 gennaio 2014
Il 28 Giugno del 1914 a Sarajevo, capitale della Bosnia, vengono assassinati l’erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando d’Asburgo e sua moglie la Principessa Sofia Chotek. 
Trenta giorni dopo l’Europa precipita in una guerra che durerà cinque anni, mobiliterà 65 milioni di soldati, causerà la morte di 20 milioni di persone tra militari e civili e la fine di tre grandi imperi. 
L’omicidio a Sarajevo di Francesco Ferdinando è la scintilla che innesca la Prima guerra mondiale. 
L’Austria – sottolinea lo storico Lucio Villari - dichiara guerra alla Serbia come una sorta di “spedizione punitiva”, una guerra lampo limitata a dare una lezione alla Serbia, ma che invece nel giro di una manciata di settimane coinvolgerà tutte le superpotenze europee. L’omicidio di Francesco Ferdinando si consuma in un giorno simbolo del patriottismo serbo, il Vidovdan, la Festa di San Vito, celebrazione commemorativa della battaglia della Piana dei merli del 1389 contro gli ottomani durante la quale il sultano venne assassinato da un serbo. E sarà un giovane studente serbo, Gavrilo Princip, membro di un gruppo politico che chiedeva l’annessione della Bosnia alla Serbia, a sparare “la pallottola che diede inizio al primo conflitto mondiale”.

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«Cent’anni fa la Grande Guerra cambiò il mondo. Che eredità ha lasciato il conflitto? Lo raccontano la Storia e i luoghi»
Supplemento di 16 pagine su «La Stampa», 16 gennaio 2014

Links:
Dal blog «Un caffè con lo storico» a cura di Sergio De Santis



Edvard Munch, Angst, 1896

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